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Felici si diventa
Felici si diventa

Essere estroversi. Lanciare sfide ardite. Puntare sugli affetti. Basta per essere positivi? La scienza affronta il più antico dei dilemmi

 Dopo un secolo dedicato a studiare le sofferenze umane, gli psicologi hanno scoperto la felicità. E i libri che raccontano come conquistarla, come 'Happiness' dell'inglese Daniel Nettle, pubblicato dalla prestigiosa Oxford University Press, o 'Satisfaction' dello psichiatra americano Gregory Berns, escono dagli scaffali dedicati alla psicologia popolare, per conquistarsi un ruolo tra le pubblicazioni accademiche. Come si spiegano tanti sforzi per migliorare la vita di chi non denuncia gravi patologie, ma semplici insoddisfazioni? "Non c'è molta felicità in giro, per questo ne parliamo tanto", dice Nettle, psicologo all'Università di Newcastle: "La gente si è resa conto che il nostro tenore di vita è sensibilmente migliorato, ma la nostra vita interiore no".

In effetti, i primi studi sulla felicità sono figli degli anni '60, quando si comincia a capire che il boom economico non cancella le nevrosi, anzi forse le genera. Ma a sdoganare ufficialmente la Psicologia positiva, in tempi più vicini a noi, è Martin E. P. Seligman, per anni presidente dell'American Psychological Association, noto al pubblico come autore di saggi tradotti anche in Italia, quali 'Imparare l'ottimismo' (Giunti 2005) e 'La costruzione della felicità' (Sperling Paperback 2005). E anche nel nostro paese si è da poco costituita la Società italiana di psicologia positiva (Sipp) guidata da Gian Franco Goldwurm e Antonella Delle Fave.

Una produzione e un argomentare che, alle raffinate sensibilità degli europei affascinati dalle profondità della psicoanalisi, profuma di banalità, ma che, partendo da un ragionamento semplice e da una serie di prescrizioni un po' naïve, arriva ad affondare le mani nel problema dei problemi: cosa è la felicità? E perviene a conclusioni per niente naïve.

"Il merito di questi studi? Prima che la psicologia positiva diventasse una moda, la scienza non se ne occupava", sottolinea Goldwurm, psichiatra e docente all'Università di Milano. Che ha sperimentato sui suoi studenti l'efficacia delle tecniche per correggere gli atteggiamenti che alimentano l'infelicità e che lo psicologo americano Michael Fordyce riassume in 14 principi fondamentali: in sintesi, socializzare, pensare positivo, coltivare le relazioni intime ed evitare di preoccuparsi per un nonnulla. Banalità? "Chiediamo ai musoni di scambiare due parole con quanti incontrano durante il giorno, dal giornalaio alla cassiera del supermercato. E agli ansiosi di appuntare su un quaderno le loro preoccupazioni: rileggendole una settimana dopo, scoprono che molte di queste erano infondate, e con un po' di esercizio possono imparare che non è il caso di preoccuparsi tanto". In altre situazioni si interviene sui processi cognitivi che ci portano a vedere tutto nero, "per aiutare i pazienti a rendersi conto di quanto c'è di valido nella loro esistenza". I risultati ci sono. E confermati da studi che mostrano come ottimismo e buone relazioni umane garantiscano non solo felicità, ma anche salute.

"Un importante studio inglese, il 'National Child Development', dimostra che sposati e conviventi sono decisamente più felici di quanti vivono soli", ricorda Nettle: "E altre ricerche confermano che felicità e un comportamento estroverso vanno di pari passo". Senza dimenticare lo storico studio statunitense sulle suore, che mostra come circa il 90 per cento delle religiose più ottimiste sia arrivato senza problemi agli 85 anni, contro solo il 34 delle meno ottimiste. "Il prossimo passo", spiega Goldwurm, "sarà quello di cercare di trasformare i pessimisti in ottimisti, seguendo il metodo di Seligman sul benessere soggettivo". Dunque si può imparare a essere felici? "Anche introversi e malinconici possono trarre piacere da un hobby, dall'amicizia e dalle relazioni umane, spesso hanno solo bisogno che qualcuno gli ricordi che ci sono cose piacevoli cui dedicare tempo ed energia", teorizza Nettle.

Sarebbe questa la felicità autentica cui il settimanale 'Time' ha dedicato una copertina? Domanda non retorica, perché il problema centrale del dibattito sulla felicità è proprio quello di mettere d'accordo gli psicologi sulla definizione. E a complicare le cose c'è anche la difficoltà di tradurre la dicotomia inglese tra 'joy', la felicità momentanea, e 'happiness', intesa, dice Nettle, "come uno stato durevole che consiste in un ragionevole equilibrio di emozioni positive e negative, e nella sensazione che la propria vita abbia un senso e proceda verso un obiettivo soddisfacente".

Comprensibile che qualcuno sia tentato di trovare delle scorciatoie: come Ruut Veenhoven della Erasmus University di Rotterdam, direttore del Database Mondiale della Felicità (consultabile presso http://worlddatabaseofhappiness.eur.nl). Che senza farsi tante domande ha provato a classificare il livello di felicità di popoli diversi, scoprendo che svizzeri e maltesi detengono la palma della felicità con un punteggio di 8, mentre all'estremo opposto ci sono Zimbabwe (3,2) e Tanzania (3,3), ma anche alcuni Stati europei come la Moldavia (3,5) e l'Ucraina (3,6), con l'Italia in una posizione intermedia (6,9).

Siamo proprio sicuri che quando dicono di essere (o non essere) felici svizzeri, moldavi e italiani intendano la stessa cosa? "Forse in italiano sarebbe più corretto parlare di benessere, che ha una definizione più ampia e meno connotata rispetto a felicità", commenta Antonella Delle Fave, docente di Psicologia generale all'Università di Milano. Non è solo questione di terminologia: "Molti psicologi americani tendono a privilegiare una visione della felicità molto individualista, pragmatica, che studia e promuove il piacere inteso come benessere prettamente personale. Mentre noi europei attribuiamo maggior peso allo sviluppo e alla realizzazione delle potenzialità individuali, ma all'interno di un contesto sociale", prosegue la psicologa.

Anche sull'origine della nostra felicità, insomma, i pareri sono tutt'altro che unanimi. Tanto che sembrerebbe più facile dare una risposta in negativo. Sappiamo, ad esempio, "che una volta soddisfatti i bisogni fondamentali, l'aumento della ricchezza non incrementa la felicità in modo proporzionale", precisa Delle Fave. E, sorpresa, anche la salute non è tutto. "Eventi lieti, come una vincita alla lotteria, o tragedie, come una grave malattia, influiscono sulla felicità degli individui. Ma solo momentaneamente: con il passare del tempo la maggior parte delle persone torna nella condizione psicologica precedente", ricorda Nettle: "Studi effettuati sui disabili mostrano che a fare la differenza non è la gravità dell'handicap, ma l'atteggiamento, la capacità di trasformare gli ostacoli in opportunità", racconta Delle Fave. Una patologia anche grave, vissuta con un atteggiamento costruttivo, non impedisce di essere felici. "E la psicologia positiva", dice Goldwurm, "può essere di grande aiuto per chi è costretto a convivere con una malattia cronica".

E in positivo, quale potrebbe essere la ricetta della felicità? C'è chi, come Gregory Berns, dedica la propria attenzione soprattutto al piacere, per concludere, dopo aver visitato bordelli sadomaso e assaggiate squisitezze gastronomiche, che questo consiste soprattutto nelle sfide concluse con successo, in quell''Ah!' di soddisfazione che ci viene fuori quando abbiamo affrontato e risolto un problema, e ancor di più nella novità. "Abbiamo verificato che se offriamo a un gruppo di bambini un vassoio di dolcetti misti, permettendogli di prenderne due, tutti prendono prima il loro dolce preferito, poi un altro diverso", testimonia Berns. Anche se in realtà le cose sono più complicate di così: ci sono piaceri che una volta assaporati perdono il loro fascino; altri che non ci stancano mai; e altri ancora, come le nostre pietanze preferite, che dobbiamo concederci solo di tanto in tanto se non vogliamo che perdano sapore. E in questo senso, insiste lo scienziato americano, anche il denaro ha un ruolo importante, purché venga utilizzato per vivere nuove esperienze.

"La novità è sicuramente un aspetto importante della felicità, ma l'elemento essenziale è l'opportunità di cimentarci con prove sempre nuove", spiega Delle Fave. Parliamo di quella gratificante condizione individuata da uno dei padri della psicologia positiva, Mihaly Csikszentmihalyi, e definita flow o esperienza ottimale. "È quello che prova chi si impegna per rispondere a una sfida difficile, ma non impossibile, che mette in gioco tutte le sue competenze. Ad esempio uno scalatore che conquista una vetta", interviene Delle Fave. Sembrerebbe un'emozione riservata a pochi eletti, in realtà è un'esperienza molto diffusa, che sembra comune a tutti gli umani a prescindere dalla loro cultura di origine: "Una nostra ricerca su 22 comunità diverse ci ha consentito di dimostrare che l'85 per cento delle persone ha vissuto esperienze ottimali", prosegue la psicologa. Un' interpretazione che spiegherebbe perché la felicità, apparentemente meno utile di altre emozioni salvavita come la paura o il disgusto, ci abbia accompagnato per tutta l'evoluzione: "La necessità di conoscere e sperimentare cose nuove è certamente un elemento importante per la nostra specie", dice Delle Fave.

Forse molta dell'odierna infelicità dipende anche dal fatto che le sfide quotidiane che attiravano l'uomo del paleolitico - combattere, procurarsi il cibo, conquistare una compagna - non hanno più senso nel mondo in cui viviamo oggi. Ossia, detto in altri termini, che siamo programmati per desiderare cose che non ci interessano più veramente, come ricchezza e potere. Ma soprattutto che siamo preda di un subdolo meccanismo biologico che ci rende incontentabili: "I nostri cervelli", ricorda infine Nettle, "non sono stati programmati per mantenere a lungo uno stato di felicità". E magari questo non è del tutto negativo.

E se fosse una malattia?



E se la felicità fosse una malattia? Il dubbio è venuto a Richard Bentall, psicologo dell'Università di Liverpool, che nel 1992 ha proposto di ribattezzarla 'disturbo affettivo maggiore, di tipo piacevole'. E in quanto tale di inserirla nella più recente revisione del DSM IV, il testo ufficiale per la classificazione dei disturbi mentali. Uno scherzo? "Un esame della letteratura in materia mostra che, in termini statistici, la felicità rappresenta un comportamento deviante, che è caratterizzata da un certo numero di sintomi significativi, ed è associata a varie anomalie cognitive, che probabilmente riflettono un funzionamento patologico del sistema nervoso centrale", spiega Bentall in un articolo pubblicato dalla rivista 'Journal of Medical Ethics', e spesso citato in letteratura.

Obiettivo dell'autore (oggi docente di Psicologia clinica all'Università di Manchester) era forse quello di polemizzare con il rigido sistema di categorie proposto dal DSM IV, che tende a etichettare come patologica qualunque emozione umana. Probabilmente a ragione, visto che nel 2000 un gruppo di scienziati ha vinto l'Ignobel Prize, il contro-Nobel assegnato a ricerche bizzarre o inattendibili, sostenendo che l'amore romantico è una forma di disturbo ossessivo-compulsivo. E che oggi sono in molti a individuare un tratto patologico nella frenetica ricerca della felicità che caratterizza i nostri tempi. "La mia teoria ha un punto debole", annota con flemma britannica Bentall: "Nessuno si è mai lamentato di essere troppo felice. Ma questo, dal punto di vista scientifico, è del tutto irrilevante".


Quante cose ci sono nel cervello




DOVE NASCE

Amigdala
È con l'ippocampo (foto sotto) l'area cerebrale coinvolta nelle risposte emozionali. Una sorta di sistema di smistamento che etichetta le percezioni che arrivano dall'esterno con la risposta emozionale più appropriata.

Emisfero sinistro
Diversi studi mostrano che una maggiore attivazione dell'emisfero cerebrale sinistro, e in particolare del lobo prefrontale, corrispondono a una risposta positiva a una reazione emozionale. Le ricerche di Richard Davidson dell'Università del Wisconsin mostrano che i bambini socievoli ed estroversi hanno una maggiore attività dell'emisfero sinistro rispetto ai loro coetanei, e che la meditazione aumenta straordinariamente l'attività di quest'area cerebrale.

COME NASCE

Serotonina
Neurotrasmettitore che contribuisce tra l'altro a stabilizzare l'umore e regolare il sonno. Bassi livelli di serotonina (nella foto sotto, la struttura molecolare) sono associati a disturbi quali depressione, ansia, stress post-traumatico. Sul sistema serotoninergico agiscono farmaci come gli antidepressivi Ssri o la d-fenfluramina, ma anche droghe come l'Lsd oppure l'extasy.

Dopamina
È un neurotrasmettitore rilasciato da specifiche aree cerebrali come il nucleo accumbens e il corpo striato. La dopamina entra in gioco quando proviamo o anticipiamo un'esperienza piacevole, producendo la gratificazione che ci spinge a mettere in atto o a ripetere determinati comportamenti come mangiare, fare sesso o assumere droghe.

Ossitocina
È stato definito l'ormone dell'amore, perché entra in azione durante il parto e l'attività sessuale contribuendo a stabilire il legame tra la madre e il bambino, ma anche la relazione affettiva tra due partner. Studi recenti mostrano che le persone che si dicono innamorate hanno alti livelli di ossitocina (nella microfotografia qui sopra) nel sangue, e che questa, somministrata per via nasale, favorisce un rapporto di fiducia tra gli esseri umani.

Endorfine
Sono oppioidi endogeni, ossia sostanze simili all'oppio prodotte dall'organismo, generano un senso di piacere e riducono la sensibilità al dolore. Sembrano essere responsabili del senso di benessere provato da chi pratica intensa attività fisica, anche se Berns attribuisce questo fenomeno alla dopamina. La produzione di endorfine può essere stimolata dalla luce solare, dalla meditazione oppure ridendo.

I geni
David Lykken and Auke Tellegen, due psicologi dell'Università del Minnesota, hanno mostrato che gemelli identici hanno esattamente lo stesso atteggiamento nei confronti della felicità, anche se sono cresciuti separatamente. E studi recenti mostrano che gli individui che hanno una versione più corta - e quindi meno efficiente - del gene 5HTT che regola il trasporto della serotonina, hanno un tasso di nevrosi e d'infelicità superiore alla norma.

 
 
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