Il potere dei paragoni
La felicità dipende dai nostri termini di confronto: lo afferma un recente studio americano che ha analizzato gli atteggiamenti degli "eterni secondi" e ha stabilito che le reazioni emotive sono guidate dal paragone con l'alternativa più facile da immaginare. E che il nostro benessere dipende dalle persone che prendiamo come esempio.
Toto Cutugno e Rubens Barrichello ne sanno qualcosa. Ma anche Sancio Panza e il dottor Watson.
Dall'eterno sconfitto del festival di Sanremo anni Ottanta all'ombra del campionissimo Schumacher fino all'ironico assistente del più famoso Sherlock Holmes, gli eterni secondi soffrono (ma forse non lo sanno) di una strana patologia, quella dei non protagonisti.
A codificarla sono stati gli psicologi dell'americana Cornell University, i quali per teorizzare la "frustrazione del secondo" sono partiti da molto lontano.
Secondo Victoria Mevdec, a capo dell'equipe che ha lavorato a questo studio riportato dal Financial Times, a determinare il senso di benessere non sono gli eventi della propria vita ma la sensazione di ciò che potrebbe accadere.
Ecco un esempio fuori dai miti e alla portata di tutti: se corriamo per andare a prendere un treno e arriviamo a porte appena chiuse ci alteriamo di più che se fossimo arrivati mezz'ora dopo l'orario di partenza.
Questo atteggiamento mentale pare condizioni tanti altri aspetti della nostra vita e fa sì che molti (soprattutto i più ambiziosi) considerino la propria esistenza una sequenza di treni appena partiri. Un atteggiamento che può essere riscontrato facimente proprio nel mondo dello sport.
È stato dimostrato, per esempio, che ai giochi olimpici di Barcellona, 13 anni fa, chi aveva vinto la medaglia di bronzo era molto più felice di chi, vincendo quella d'argento, si era piazzato avanti.
Il meccanismo psicologico sarebbe il seguente: le reazioni emotive sono guidate dal confronto con l'alternativa più facile da immaginare. Questa alternativa per chi vince la medaglia d'argento consiste nella medaglia d'oro mentre per chi si chi è terzo consiste nella classificazione fuori dal podio.
Chi vince l'argento è cioè ossessionato dal pensiero di essere stato a un passo dalla vittoria mentre chi ha vinto il bronzo è felice di essere arrivato sul podio.
Applicando questo principio alle altre attività umane, si è visto che in genere molti di noi tendono a paragonarsi ai migliori e ne ricavano un senso di inferiorità e inadeguatezza che li fa sentire infelici.
Altri invece prendono a paragone chi è messo peggio, con la conseguenza di stare meglio.
Insomma, ciò che determina il nostro benessere non è ciò che abbiamo ma chi prendiamo come termine di paragone.
E il paragone diventa particolarmente rilevante (e quindi fonte di maggiori o minori sofferenze) quando riguarda una sfera più personale, cioè quando conosciamo le persone prese come nostro paragone (compagni di scuola, colleghi di lavoro e famigliari).
Tanto che, secondo Daniel Nettle, psicologo della Università di Newcastle, può essere definito felice un uomo che guadagna cento dollari in più rispetto al cognato.
Un'interessante eccezione, in tema di ricchezza economica, si trova nello studio di Claudia Senik un'economista dell'Università della Sorbona, pubblicato sul Journal of Public Economics e riportato dal prestigioso quotidiano americano.
Senik ha scoperto che nei Paesi dall'economia instabile come la Russia gli individui considerano i ricchi non come un triste termine di paragone ma come una speranza per il loro stesso futuro.
Questa asnalisi lascia presuppore che tutti possono determinare il proprio stato di benessere mentale: basta scegliersi il giusto termine di paragone.
Quindi, per tornare all'esempio iniziale, la prossima volta che arrivate in stazione e il vostro treno è appena partito, non alteratevi e pensate che per arrivare prima avreste dovuto correre così tanto che vi sarebbe potuto venire un attacco di cuore.
Secondo gli psicologi americani, questo atteggiamento mentale dovrebbe servire a farvi stare meglio.
di Isabella Colombo
20/9/2005
posted by Enrica Valdemarca
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