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Propaganda e libertà di stampa
Propaganda e libertà di stampa Dal libro “Manifesto contro la televisione” Cosa c’entrano la propaganda di massa e la libertà di stampa con il Manifesto contro la televisione? Semplice: chi controlla oggi i media, e in particolar modo la televisione, in una società altamente multimediale e globalizzata come la nostra, ha nelle mani uno strumento eccezionale di condizionamento e propaganda! Il dizionario della lingua italiana a proposito di propaganda dice: l’«azione intesa a conquistare il favore o l’adesione di un pubblico sempre più vasto mediante ogni mezzo idoneo a influire sulla psicologia collettiva e sul comportamento della massa»1, però precisa anche che «spesso il termine può polemicamente alludere a grossolane deformazioni o falsificazioni di notizie o dati, diffusi nel tentativo di influenzare l’opinione pubblica!». Quest’ultima definizione è forse quella che più di ogni altra viene intesa quando si parla appunto di propaganda: la strategia mediatica attraverso la quale s’influenza, o almeno si tenta di farlo, l’opinione pubblica per uno scopo ben preciso. «La prima operazione di propaganda promossa da un governo moderno avvenne sotto l’amministrazione di Woodrow Wilson, eletto presidente degli Stati Uniti nel 1916 proprio in pieno conflitto mondiale, con lo slogan: “Pace senza vittoria”. Il popolo americano era estremamente pacifista, e non individuava nessun valido motivo per un coinvolgimento nella guerra che si combatteva in Europa»2. Ma la macchina propagandistica governativa, denominata per l’occasione Commissione Creel, riuscì in soli sei mesi a trasformare la popolazione pacifista in una massa isterica e guerrafondaia che voleva a tutti i costi distruggere qualsiasi cosa fosse tedesca. Sempre negli Stati Uniti si potrebbe citare l’imponente campagna, forse la più maestosa di ogni epoca, attuata per stigmatizzare il temutissimo “nemico rosso”: il comunismo! Con la scusante del pericolo sovietico, sono riusciti a disintegrare organizzazioni sindacali, a eliminare personaggi scomodi e soprattutto la libera espressione del pensiero politico. In Germania, invece, negli anni Trenta Adolf Hitler riuscì, attraverso una massiccia propaganda radiofonica e sulla carta stampata, a condizionare l’opinione pubblica instillando paura e odio verso gli ebrei, gli zingari, i neri e le persone con handicap fisici e mentali, sottolineando contemporaneamente la superiorità e la purezza della razza ariana. Nel suo libro autobiografico, Mein Kampf (La mia battaglia), il führer (la guida) del Terzo Reich spiega qual è lo scopo primario della propaganda nazista: «spezzare psicologicamente il nemico prima che le truppe comincino a entrare in azione»3. Quindi, prima d’intervenire con le forze militari, era necessario indebolire la psicologia della gente! Aveva compreso appieno l’importanza dell’assoggettamento psicologico massificato. L’esempio di propaganda più attuale riguarda la guerra contro l’Irak voluta dall’amministrazione Bush. Il tutto è stato preparato brillantemente da un martellamento mediatico a monte, che ha interessato la stragrande maggioranza dei quotidiani, delle reti televisive nazionali e alcune potenti agenzie d’immagine statunitensi. Le motivazioni che hanno spinto alla guerra (creata a tavolino dagli esperti militari molto tempo prima dell’attacco alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, ed esattamente intorno all’anno 2000) sono state amplificate mediaticamente da tutti: si è detto dell’esistenza di armi di distruzione di massa, dei collegamenti tra il dittatore Saddam Hussein con il capo di Al-Qaeda, Osama bin Laden, sono state trasmesse e ritrasmesse le immagini delle fosse comuni, dei cadaveri, le interviste ai prigionieri torturati dal Rais, e così via. Il tutto per convincere l’opinione pubblica della necessità e urgenza di un intervento armato. Ovviamente il passato ignobile di Saddam Hussein non si discute, ma le cosiddette “prove certe” sono state smentite e si sono dimostrate spudoratamente false. Ultimamente il direttore del New York Times (e qualche giorno fa pure il vicedirettore del Washington Post) ha chiesto scusa – giustamente, dico io – ai propri lettori per essere stato un po’ troppo leggero riguardo le “prove” esibite dall’amministrazione Bush! Gli esempi passati e presenti sull’utilizzo di procedure propagandistiche si sprecano, basta rileggere attentamente la storia per verificare come il condizionamento di massa è sempre stato un mezzo estremamente utile ed efficace. Per questo scopo preciso sono state create ad arte numerose agenzie governative. Una di queste, oltre agli studi cinematografici di Hollywood, era l’U.S.I.A. Costituita nel 1953 sotto la presidenza di Ike Einsenhower, la United States Information Agency (l’Agenzia d’informazione degli Stati Uniti) aveva il compito di «influenzare le attitudini e le opinioni del pubblico estero in modo da favorire le politiche degli Stati Uniti d’America… e di descrivere l’America e gli obiettivi e le politiche americane ai popoli di altre nazioni in modo da generare comprensione, rispetto e, per quanto possibile, identificare con le proprie legittime aspirazioni. (…) Dimostrare e documentare di fronte al mondo i disegni di coloro che minacciano la nostra sicurezza e cercano di distruggere la libertà»4. Esattamente quello che stanno facendo oggi attraverso massicce campagne mediatiche. Sono riusciti non dico a creare, ma certamente a ingigantire e mettere in luce (quella dei riflettori) il nemico che minaccia la sicurezza dell’America e del mondo intero: il terrorismo islamico. Il Male per antonomasia. In questo modo, però, esso non viene certo sconfitto, casomai nutrito da una simile pubblicità mediatica. Assieme all’U.S.I.A. esistono altre agenzie che lavorano con il medesimo fine: l’O.S.I. (Office of Strategic Influence), l’Ufficio d’influenza strategica, l’O.G.C. (Office of Global Comunication), l’Ufficio per le comunicazioni globali, ecc. L’O.S.I., per esempio, è stato ufficialmente smantellato in seguito alle reazioni pubbliche suscitate da un articolo del New York Times in cui si riportava che l’agenzia avrebbe fornito ai giornalisti stranieri «nuovi elementi, possibilmente anche falsi»5; l’O.G.C., invece, è stato denunciato dal Times di Londra perché avrebbe speso 200 milioni di dollari – dei contribuenti – per un «bombardamento mediatico contro Saddam Hussein»6. Attenzione: l’U.S.I.A., l’O.S.I. e l’O.G.C. sono state, e sono tuttora, solamente alcune delle innumerevoli istituzioni per la propaganda create dai governi di tutto il mondo. Quello che voglio far capire è come, attraverso la manipolazione delle notizie, delle informazioni, dei servizi, degli spettacoli, eccetera sia possibile manipolare e condurre per mano le masse verso uno scopo prefissato, quasi sempre di natura geopolitica o commerciale. Questo è il pericolo della televisione: non potremo mai sapere ed essere sicuri che le immagini che vediamo (oltre a non essere reali per quello che abbiamo visto nel capitolo del tubo catodico) siano oneste o invece veicolate appositamente per portarci fuori strada. Una strada deleteria che, come nel caso dell’11 settembre, ha modificato le politiche, le economie e le coscienze dell’intero pianeta! L’attentato alle Torri Gemelle di New York è andato in diretta televisiva mondiale ed è stato visto da oltre 1 miliardo di persone: tutti incollati agli schermi per giorni a subire incondizionatamente e incoscientemente un evento drammatico, unico nel suo genere. Evento che ha segnato, per così dire, l’inizio ufficiale dello scontro tra Bene (occidentale) e Male (mediorientale). Da quel fatidico e maledetto martedì, infatti, il «mondo non è più lo stesso!», continuano a martellarci a ripetizione gli addetti ai lavori. Ogni crisi economica, ogni depressione o ristagno, ogni governo che fallisce il mandato, ogni legge che viola le libertà personali, è giustificato da quell’accadimento e rafforzato dalla visione dell’aereo che impatta mortalmente contro la torre! Mi chiedo, a questo punto, se sarebbe stato lo stesso se invece di 1 miliardo di persone ce ne fossero state cento oppure una sola collegata in diretta! Se nessuno avesse visto con i propri occhi un simile e agghiacciante disastro, l’intera popolazione statunitense, a esclusione degli immancabili guerrafondai, si sarebbe opposta strenuamente alla missione militare in Afghanistan prima (che non c’entrava assolutamente nulla con le torri, perché lo scopo era geopolitico) e in Irak poi (idem). George W. Bush non avrebbe potuto realizzare così tranquillamente, e con il sostegno quasi totale dell’opinione pubblica americana, il Progetto per un nuovo secolo americano (PNAC) (progetto per la sottomissione militare del pianeta al dominio statunitense) che gli amici neoconservatori avevano abbozzato molti anni prima. Ovviamente queste sono banali speculazioni, perché la realtà dei fatti è che quasi la totalità degli americani ha avuto accesso diretto alle immagini e non ci ha pensato due volte a sostenere il Pentagono nella vendetta militare. Vorrei provocatoriamente affermare che senza la televisione e il suo impatto condizionante sulle masse probabilmente le guerre in Afghanistan e in Irak non avrebbero avuto luogo e almeno ventimila (esclusi i caduti delle torri) civili tra donne e bambini, sempre probabilmente, sarebbero ancora vivi oggi! L’altro tema importante e strettamente connesso alla propaganda di massa riguarda la cosiddetta libertà di stampa. La continua fusione tra aziende più o meno grandi che lavorano nel settore multimediale (carta stampata, televisioni, radio, riviste, ecc.) avrà come risultato inevitabile la formazione di imperi mostruosamente potenti. Nel mondo oggi il sistema delle comunicazioni è gestito e controllato da pochissimi gruppi: Viacom, Walt Disney, Liberty Media Corporation, News Corporation, AOL Time Warner, Vivendi, At&T, Sony, Bertelsmann, Mediaset e pochi altri. Preso singolarmente, uno qualsiasi di questi gruppi gestisce centinaia tra canali radio e televisivi, riviste, case editrici, case di produzione filmografiche, ecc. Questi gruppi si stanno lentamente agglomerando e fondendo tra loro per diventare in pochi anni uno o al massimo due imperi multimediali globali, e quando ci arriveremo la libera informazione e l’informazione alternativa saranno solo un amaro ricordo. In Italia abbiamo un caso esemplare denunciato e portato alla ribalta in tutto il mondo per unicità: il Presidente del Consiglio è l’uomo più ricco del paese e controlla attraverso le sue aziende l’intera informazione nazionale. Con il suo governo gestisce i tre canali nazionali e con una sua ditta privata, la Fininvest , gestisce altri tre canali privati nazionali, senza tenere conto dei numerosissimi canali locali. In una simile situazione, paragonabile a quella vista in precedenza riguardante le corporazioni che finanziano le ricerche scientifiche, possiamo ancora discutere di democrazia delle informazioni? Assolutamente no! Oggi si deve parlare di dittatura mediatica vera e propria. Non è un’esagerazione, è il vocabolario della lingua italiana che lo dice, definendo dittatura una «situazione data dall’accentramento, in via straordinaria e temporanea, di tutti i poteri di uno stesso organo»7. In Italia da qualche anno a questa parte c’è un accentramento, e non certo temporaneo, del potere (mediatico, politico, economico) in uno stesso organo, anzi, in una stessa persona: quindi, è così fuori luogo parlare di “dittatura mediatica”? Lo ha denunciato perfino la Freedom House , che non c’entra nulla con la Casa delle libertà nostrana: siamo nella graduatoria mondiale delle libertà di stampa al 74mo posto8. La Freedom House , cioè la Casa Libera o Casa delle Libertà (libertà vere, ovviamente), è un’istituzione americana che da oltre sessant’anni analizza le democrazie nel mondo. L’Italia si piazza in graduatoria, pensate, dopo Ghana (64mo), Israele (66mo) e Botswana (72mo). Quello che però preoccupa non poco è che fino alle Isole Salomone, e cioè al 73mo posto, lo status scritto nella tabella è Free (cioè libero!), ma dal 74mo posto in giù (posizione italiana) lo status è considerato Partly Free, cioè «parzialmente libero»! Note 1) Dizionario illustrato della lingua italiana, G. Devoto e G.C. Oli 2) Noam Chomsky, Il potere dei media, pag. 14, Vallecchi editore, 1994, Firenze 3) Adolf Hitler, Mein Kampf, La Lucciola editrice, 1992 4) Cecil V. Crabb jr., Harper and Row, American Foreign Policy in the Nuclear Age, 1995 5) New York Times, 18 febbraio 2002. Rampton Sheldon e Stauber John, Vendere la Guerra , Ed. Nuovi Mondi Media, 2004 6) Ibidem, pag 38 7) Dizionario illustrato della lingua italiana, G. Devoto e G.C. Oli 8) Tabella sulle libertà di stampa www.freedomhouse.org 9) Idem 10) Pamio Marcello, Il lato oscuro del Nuovo Ordine Mondiale, Ed. Macro, 2004 11) L’Associated Press statunitense fornisce le notizie a 3500 radio, 800 televisioni e oltre 1500 giornali in circa 121 paesi del mondo. 12) La Reuters è nata in Germania da Paul Josaphat (che assunse il titolo di barone Reuters) ma la sede principale è nella City di Londra. Oggi la Reuters ha un corredo di 2157 giornalisti e prepara notizie in 23 lingue per 151 paesi diversi 13) Sito ufficiale ANSA: www.ansa.it posted by Enrica Valdemarca  
 
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